L’alleanza contro la povertà

Acli e Caritas propongono di siglare un Patto Aperto contro la Povertà a tutti soggetti sociali interessati alla lotta per estirpare questo flagello in Italia. Si tratta, dunque, di unire le forze e percorrere insieme un cammino finalizzato a promuovere l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale nel nostro paese. Inoltre, se – come ci auguriamo – il Reis diventerà realtà, gli aderenti al Patto si impegneranno ad assicurarne la migliore attuazione possibile.

E’ invitato ad aderire al Patto ogni soggetto sociale che deciderà di fare propria la proposta, nei suoi punti chiave, e di contribuire alla campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche per ottenerne l’introduzione. Inoltre, in caso di esito positivo, gli aderenti lavoreranno per promuoverne la corretta attuazione così come per verificarla.

I contenuti dell’attività di sensibilizzazione saranno definiti congiuntamente dai diversi sostenitori, in coerenza con la logica prescelta; evidentemente non potrebbe definirsi “aperto” un Patto dai contorni già definiti, cioè chiusi. Allo stesso modo, mentre i capisaldi della proposta sono fermi, gli aderenti potranno portare il proprio contributo per migliorarne le specifiche parti, sulla base delle loro competenze ed esperienze. In caso di esito positivo, un non minore coinvolgimento sarà richiesto nel controllare l’attuazione del Reis e nel favorire il superamento delle difficoltà che si presenteranno in fase realizzativa, come è naturale che avvenga passando dalla teoria alla pratica.

Perché un Patto contro la povertà? Allo scopo di superare la distanza tra la scarsa attenzione che, da sempre, la politica nazionale dedica al problema e l’urgenza di mettere in campo adeguate azioni per contrastarlo. Nella concretezza delle risposte portate avanti a livello locale, tanti soggetti sono abituati ad unire gli sforzi e a realizzare insieme interventi contro l’esclusione sociale, in innumerevoli territori. Passando all’attività di sensibilizzazione svolta a livello nazionale, invece, il quadro cambia perché le numerose azioni effettivamente compiute vengono realizzate da singoli attori, gli uni autonomamente rispetto agli altri. Fare della povertà una priorità della politica nazionale costituisce, oggi, una sfida insieme decisiva ed assai complessa : per vincerla è necessario un salto di qualità. Solo unendo le forze e dando vita ad un’azione corale, si può coltivare la speranza di togliere all’Italia lo spiacevole primato di essere uno dei due Paesi dell’Europa a 15, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale contro la povertà assoluta[1].

Alleanza
Alleanza

La costruzione del Patto è facilitata dalla peculiarità della lotta alla povertà: su quali dovrebbero essere i punti cardine di una misura nazionale per fronteggiarla, infatti, esiste ampio consenso tra gli addetti ai lavori. Detto altrimenti, tutti sanno cosa fare, il problema è riuscirci: mobilitarsi insieme è un passaggio decisivo a tal fine.

Perché “Aperto” ? Innanzitutto per un motivo di senso. Nessuno – a cominciare dai promotori e dagli autori della presente proposta –  può ritenere di avere il monopolio della lotta alla povertà, la voce di ognuno ha lo stesso valore di quella degli altri. Vi è, nondimeno, una ragione di contenuto. L’ampiezza della sfida è tale da rendere necessaria la condivisione di esperienze, competenze e creatività di ognuno, con riferimento ai diversi piani della sensibilizzazione, del miglioramento della proposta e della verifica sulla sua (eventuale) attuazione.

La logica pattizia permea l’intera proposta. Passando dai soggetti sociali alle forze politiche, infatti, questa si conferma la chiave di volta per il successo del Reis. Un Patto tra i partiti è necessario affinché tutti insieme decidano l’introduzione del Reis e si assumano la responsabilità di sostenerne congiuntamente l’attuazione, quale che sia la collocazione futura di ognuno (maggioranza o opposizione). In altre parole, si propone loro di prendere un impegno condiviso ad appoggiare il percorso di messa in pratica della misura negli anni a venire, che ogni attore dovrebbe portare avanti indipendentemente dal colore dei prossimi Governi e dall’evoluzione del confronto politico.

L’attuazione del Reddito d’Inclusione Sociale incontrerà inevitabilmente numerosi ostacoli: altrimenti la riforma non sarebbe degna di questo nome. Si ipotizza, pertanto, un percorso pluriennale affinché i soggetti impegnati localmente – Enti Locali e Terzo Settore – dispongano del tempo necessario ad assimilare il cambiamento e apprendere come gestire la nuova misura. In questa fase  i territori saranno accompagnati da Regioni e Stato grazie a sistemi di monitoraggio e valutazione, azioni formative, momenti di confronto e altro. Solo se graduale e ben supportato, infatti, un percorso di cambiamento del welfare locale può arrivare a buon fine[2].

Il gradualismo è la scelta migliore – l’unica possibile, a ben vedere – per le politiche, cioè per il contenuto degli interventi, mentre presenta alcuni rischi riguardanti la politica, intesa come il confronto tra le diverse forze coinvolte. Tenere il “cantiere” aperto tre anni[3], infatti, significa vivere un lungo periodo di “lavori in corso” durante il quale le naturali difficoltà potrebbero essere sfruttate – secondo le convenienze del momento – per rimettere il Reis in discussione, facendone il pretesto per una battaglia politica. Gli argomenti utilizzati potrebbero essere quelli  tante volte sentiti, da “siamo realisti, il welfare italiano non è in grado di amministrare una misura simile” a “sarebbe bello ma costa troppo”[4].

Il Patto servirebbe a proteggere la lotta alla povertà da questi rischi, impedendo ai partiti di cadere in tentazioni strumentali. Si vorrebbe creare così un clima nel quale non venissero messe in discussione l’esistenza del Reis e il suo impianto – certezze necessarie ai cittadini in povertà per veder rispettati i propri diritti e agli operatori del welfare per agire in un contesto stabile – e l’attenzione potesse concentrarsi su come affrontare al meglio le difficoltà concrete incontrate nel percorso attuativo.

Può apparire ingenuo, davanti alla realtà del confronto politico italiano, proporre un simile patto e immaginarne il rispetto nel tempo. D’altra parte, un progetto con queste caratteristiche (è a favore della parte più debole della società, permette di superare un ritardo ormai insostenibile del nostro paese, ha il consenso dei tecnici,  accompagna diritti e doveri, ed è costruito così da richiedere al bilancio pubblico un impegno sostenibile) costituisce un terreno particolarmente favorevole per un accordo capace di andare oltre le rispettive appartenenze. In ogni modo, si è visto sopra, il Patto tra i soggetti sociali avrà tra i propri compiti quello di promuovere e verificare la corretta attuazione del Reis; un’opera costante di stimolo e controllo della politica costituirà una parte centrale di tale funzione.


[1] Nei rapporti di ricerca sulla lotta alla povertà in Europa, i riferimenti al nostro paese sono abitualmente di questo tenore: “L’analisi degli esperti mostra che, ad eccezione di Grecia ed Italia, tutti gli Stati Membri [dell’Unione Europea, n.d.a] hanno, con forme diverse, una misura di reddito minimo a livello nazionale” (Frazier e Marlier, 2009, pag 15).

[2] Inoltre, suddividere l’introduzione in più anni consente di diluire nel tempo il necessario incremento di spesa.

[3] Il quarto anno del percorso di transizione è il primo nel quale la misura a tutti gli utenti, di fatto il primo anno a regime.

[4] Le buone ragioni a favore della riforma, presentate sopra, confutano queste affermazioni.

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